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Radio Libertà: appunti

Recensione: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/letture/radio-liberta-dalla-radio-della-resistenza-alla-re/ di Andrea Romeo

Completando il titolo si potrebbe dire “dalle radio della libertà alle radio libere”, perché l’itinerario raccontato da Michele Anelli (autore del libro, ma anche e soprattutto artista) parte proprio dalle prime trasmissioni effettuate quando ancora la Guerra era in corso, e si conclude, per ora, nel periodo delle radio libere, certamente quelle più “schierate”, che hanno raccontato un pezzo importante, complesso e decisamente movimentato della nostra storia più recente, ovvero gli anni ’70.

Come dicevamo in apertura il fatto che, incidentalmente, l’autore sia, prima che scrittore, musicista, fa si che il taglio della narrazione segua un percorso un po’ particolare: non ci si limita ad una narrazione cronologica, ma la si utilizza come “scheletro” per giustapporvi, oltre alle esperienze personali, aneddoti raccolti durante interviste, titoli di brani che per differenti motivi hanno connotato periodi, luoghi, situazioni, brani che hanno fatto da colonna sonora per questo lungo cammino.

La musica, quindi, diventa uno strumento narrante, e la radio il mezzo, popolare, democratico, accessibile, che anche attraverso la musica si incarica di raccontare un pezzo di storia.

Oltre a ciò, chiaramente, è molto interessante l’analisi di come la radio è stata considerata, a tratti temuta, utilizzata, in alcuni momenti repressa, mentre in altri è stata comunque un fenomeno incontenibile, carsico, capace di muoversi “anguillescamente” nell’etere e di riemergere anche quando sembrava essere stata soppressa o zittita…

Perché la radio non parla soltanto attraverso le onde, ma è entrata a far parte della storia, della cultura, della narrazione sociale di un paese, ed oltre alle trasmissioni vere e proprie, a volte assurte a vere e proprie icone epocali, viene trasmessa anche dalle parole di chi ne racconta le origini, le vicessitudini, gli inciampi, le geniali intuizioni e la capacità di interpretare, mediare o stimolare la realtà nella quale si inserisce.

Ed è per questo che si passa dalle radio della Resistenza, con tutto il loro carico di responsabilità, di speranze, di lampi di genio, alle radio “che resistono”, che non si piegano al mainstream, che non si vincolano ad editori schiavi del marketing, ma che si inventano programmazioni fuori dalle logiche di mercato, fuori dalle logiche del facile ascolto, per alcuni, davvero, fuori dalla logica delle cose… radio che gli ascoltatori, una volta fidelizzati, hanno faticato e faticano ad abbandonare, perché viaggiano su coordinate talmente differenti dal solito da creare una sorta di dipendenza.

Ed è proprio in questo contesto che trovano posto canzoni italiane, straniere, magari non le “solite”, ma quelle che alcuni possono definire di culto, quelle canzoni che non sempre sono considerate “radiofoniche”, per l’argomento trattato, per la complessità musicale, oppure più semplicemente perché “troppo lunghe” e quindi poco funzionali a programmazioni blindate, scandite da tempi precisi, poco o per nulla elastici, incapaci di coinvolgere ma finalizzati solo ed esclusivamente ad “intrattenere”.

Radio Libertà; Dalla Radio della Resistenza alla resistenza della Radio racconta un tipo di radio, per così dire, residuale, che ancora oggi vive, o sopravvive, grazie ad ascoltatori “incalliti”, oppure grazie ai racconti che volumi come questo periodicamente ne fanno; già, perché molte di queste radio sono ormai spente da tempo, per motivi storici, per motivi legali, o più spesso per mere questioni economiche, ma sopravvivono, ed a loro modo trasmettono, nelle pagine dei libri.

Altre, in linea con il titolo, resistono, fra alti e bassi, ma con l’obbiettivo preciso di non scendere a compromessi che non siano accettabili e soprattutto cercando ancor’oggi di trasmettere la musica che vogliono senza diktat, senza obblighi verso nessuno, se non verso gli ascoltatori.

È vero: le antenne arrugginiscono, i trasmettitori si guastano, i supporti audio cambiano, ma le radio “resistenti” non mollano, e fino ad ora, tutto sommato, hanno avuto ragione…

Recensione: http://www.sololibri.net/Radio-Liberta-Dalla-radio-della.html  di Mario Bonanno

A un certo punto i dj delle radio si misero a parlare inglese, a trasmettere qualsiasi cosa suonasse inglese, comprese le più improbabili (sempre più Duran Duran e sempre meno Pink Floyd): fu l’inizio della fine, la fine delle radio libere – “ma libere veramente”, come cantava Finardi -, del movimento giovanile, delle canzoni con dentro qualcosa da dire, con loro. Il tempo mercificato del bla bla e dei singoli-pilota-usa-e-getta si inaugura, come molto del peggio in circolazione, all’alba degli anni Ottanta. L’alba dei morti viventi che viene fuori dalle strisce del primo numero di Dylan Dog e deflagra, pur se tra mille sbrilluccichii, per la penisola fintamente/perdutamente “in tiro”.

Si intitola “Radio libertà. Dalla radio della Resistenza alla resistenza della radio” (Vololibero, 2013) il saggio che Michele Anelli dedica a genesi-sviluppo-sopravvivenza delle radio come mezzo di comunicazione pregnante e mai titolo è suonato più opportuno. Si parte da lontano, dai fuochi della guerra del novecentoquarantaquattro, da quando sulle note di “Fischia il vento”, l’emittente partigiana “Radio Libertà” diventa simbolo di lotta di liberazione. Si va avanti col tempo e nel tempo, con le epigoni della controinformazione e della musica ribelle anni Settanta, i loro nomi sono altrettante leggende: Radio Alice, Radio Onda Rossa, Radio Aut (quella di Peppino Impastato), Radio Popolare, sacche resistenziali contro l’informazione ingessata/omologata – tra una canzone di Lolli e una di De Andrè, Springsteen, Finardi, Dylan, i Clash -, insofferente ai diktat del marketing: notizie, canzoni e consapevolezza al prezzo di uno, ancora un volta, una volta di più, sotto la bandiera della libertà (la sola degna di garrire davvero).

Intercettando le esperienze locali di Radio Libertà (Piemonte) e quelle nazionali delle emittenti ancora libere (malgrado tutto), Anelli ci propone dunque il suo “romanzo popolare” sull’Italia “che resiste”, pretesto per un discorso sull’affrancamento dal valore quasi pedagogico, che non la mena, però, con pistolotti e sermoncini vari. Quella di Anelli è, infatti, una ricostruzione storica meticolosa ma non noiosa (passa da aneddoti, citazioni, interviste), irrobustita da Musica e Parole con tanto di maiuscole: le stesse che suonano ancora sulle frequenze di certe radio.

I miei detrattori dicono che ce l’ho con la musica straniera, ma si sbagliano: non sopporto piuttosto la paccottiglia pop anglo-americana che ci viene ammannita per musica, oggi come oggi. Voglio chiudere, alla faccia loro, con una citazione di Woody Goothrie, mutuata da questo libro di Michele Anelli:

“Non si possono cantare canzoni che non protestano, non gridano, non lottano”.

Potrebbe valere anche per le emittenti radiofoniche: se le parole sono pietre, quelle delle canzoni possono esserlo di più.