The Groovers (1989-2009)

Biografia – Discografia – Concerti

I Groovers si formano in provincia di Novara nel 1989, su iniziativa del chitarrista e cantante Michele Anelli, e diventano ben presto un punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del roots-rock americano in Italia, con riferimenti che vanno da Bruce Springsteen a Neil Young, passando per John Mellencamp e i Creedence Clearwater Revival.
Anelli, affiancato dal tastierista e fisarmonicista Paolo Montanari e da una serie di musicisti che si sono avvicendati nel corso degli anni, dopo avere registrato alcuni demotape e un 7’’ allegato alla rivista “Urlo”, incide nel 1993 il primo album SONGS FOR THE DREAMERS, prodotto da Max Marmiroli, ex sassofonista dei Rocking Chairs, contenente undici brani autografi e una cover di When I Can Really Love di Neil Young. Vi compare anche la chitarra di Mel Previte, anch’egli ex Rocking Chairs e futuro componente della band di Ligabue,in Rockin’ Days.
Il tassello successivo, nel 1994, è LOST BALLADS, cassetta che contiene sei brani originali e tre cover (Neil Young con Hey Hey My My, Bob Dylan con It’s All Over Now Baby Blue, Willy De Ville Con In The Heart Ofthe City). SOUL STREET, del 1995, secondo album vero e proprio, di una band sempre più rodata e missato ad Austin in Texas all’Hit Shack, si affida alla produzione del chitarrista blues Paolo Bonfanti.
Due anni dopo esce su etichetta Fandango SEPTEMPER RAIN, prodotto dallo stesso Anelli, che ospita le chitarre di Bonfanti e di Moreno Zanghi, ex Settore Out, e include in scaletta una poesia di Allen Ginsberg messa in musica, Many Loves,e un brano, Cast Iron Radiator Blues, il cui testo è opera di Gianrico Bezzato dei Knot Toulouse: per la rivista “Buscadero” si tratta del disco italiano del 1997.
Dopo alcuni anni di pausa, in cui Anelli si dedica ad altri progetti (come i Flamingo, fondati nel 1999 insieme ad Evasio Muraro, ex Settore Out, con un repertorio in lingua italiana), nel 2000 i Groovers tornano in attività pubblicando THAT’S ALL FOLKS!, cui prendono parte i soli Anelli e Montanari, disco che include anche un paio di cover di Bruce Springsteen, Factory e una Stolen Car, posta in fondo alla scaletta come ghost track.
La stessa dimensione raccolta caratterizza l’anno dopo l’Ep DO YOU REMEMBER THE WORKING CLASS? con quattro brani inediti e quattro
riletture tratte dagli album precedenti.
Nel 2003 esce A HANDFUL OF SONG ABOUT OUR TIMES VOL.1, lavoro che coincide con una nuova line-up: Montanari abbandona l’attività live
continuando a collaborare in studio, e Muraro subentra come bassista. Nel 2003 Anelli, Muraro e Montanari con il contributo dell’ ex Stormy Six Tommaso Leddi, pubblicano il Cd IO LAVORO a nome L’Ernesto, allegato alla rivista di ispirazione comunista dall’ omonimo nome, raccolta di brani politici tra i quali spicca Dante Di Nanni degli Stormy Six.
Nel 2008, con il rientro in formazione di Paolo Montanari, esce il nuovo album intitolato REVOLUTION – a handful of songs about our times vol. 2.
Il secondo volume continua laddove il primo, con sonorità pescate tra le pieghe di bands come Wilco, EELS, Minus5, Velvet Underground, aveva tracciato la difficoltà sociale del momento. Eravamo nel 2003 e non è che le cose siano migliorate. I testi raccontano, infatti, del disagio che si vive in questi tempi, dello smarrimento e della rabbia che si cova dentro. La benzina per le parole attraversa le idee di Woody Guthrie fino ad arrivare a Billy Bragg.
Le nuove canzoni hanno un piglio indie-rock, dove la rabbia diventa energia: sono come un viaggio attraverso le sonorità utilizzate dai GROOVERS in quasi vent’anni di attività che, oltre alle band già citate, sconfinano nei territori di BRMC e Hoodoo Gurus. Un mix di parole e musica che danno continuità al lavoro svolto finora e che mantengono il sound blue-collar, seppur contaminato da deviazione indie, ancora vivo.

Formazione

Michele Anelli “Mick” / voce, chitarra elettrica ed acustica (dal 1989)
Paolo Montanari “DOM” / hammond, tastiere, fisarmonica (dal 1991)
Evasio Muraro “Eva” / basso, chitarra acustica (dal 2001)
Massimiliano Ferraro “Max” / batteria (dal 2002)
Alessandro Doglioli “Ale” / chitarra elettrica ed acustica (dal 1992 fino al 2004)
Alberto Pedretti “Conan” / basso (dal 1993 fino al 1995)
Daniele Negro “Dany” / batteria (dal 1994 fino al 1996)
Damiano Valloggia / batteria (dal 1996 fino al 1998)

Discografia

My land / 1991 / Urlo Magazine / 7″ Song for the dreamers / 1993 / Fandango rec. / CD Lost ballads / 1994 / Fandango rec. / cassetta
Soul street / 1995 / Fandango rec./IRD / CD

AA.VV / Instabile e Lubricante / Wolvernight rec / 1996 / CD compilation
September rain / 1997 / Fandango rec./Il Levante / CD (disco italiano dell’anno 1997 per il mensile Buscadero)
That’s all folks!! / 2000 / Fandango rec. / CD
Do you remember the working class? / 2001 / Fandango rec./Wolvernight / CD
A handful of songs about our times Vol. 1 / 2003 / Cement mixer music / CD
Revolution – A handful of songs about our times Vol. 2 / 2008 / Fandango rec. / CD

Concerti

415 concerti fatti tra il 1989 e il 2009

Recensioni

Mucchio selvaggio . 174/175 luglio 1992 di Marco Denti Come tanti, torppi, sono perfettamente sconosciuti. Bands per cui il rock’n’roll brilla un solo momento, quando riescono a prendere per mano un sogno e farlo diventare realtà, seppure nell’effimero tempo di un concerto e nel ristretto spazio di una birreria. E’ un istante ubriacati dall’indispensabile filosofia di Fandango hanno baratato i bootlegs di Springsteen per qualche chitarra e una scarburatissima Ford Taunus con cui girare osterie, bettole e qualunque altro buco reisca a sopportare musica dal vivo. Ci provano tutte le notti e suonano per quattro soldi ma il risultato ha ben altro valore:l’esistenza del rock è legata anche a queste vicende e poco importa se a cantare è uno che si chiama Michele Anelli invece di Steve Earle, perchè quel che chiediamo è solo divertirci con delle buone canzoni. E la scaletta non delude: la fantasia nostrana ha generato un piccolo breviario di scarna poesia rockista con New Wild road, Land Of Fire, Junkie’s Promise e con Hardway. Figli dei figli i Groovers non fanno orecchie da mercante e fanno capire dove vanno a prendere la benzina: Bad Moon rising, Jumpin’ Jack Flash e una versione di Knockin’On Heaven’s Door che i Guns’n Roses non riescono nemmeno ad immaginare sono il tramite per riscaldare l’ambiente della bergamasca Coffee House. In The MIdnight Hour diventa la scusa per rievocare gli spiriti santi del soul e del rhythm’n’blues, Otis Redding in testa. si ripete quella magia che non misura il successo con i guadagni o le dimensioni dei palchi ma con la capacità di chiamare a raccolta le tribù e rendere unico pubblico e musicisti. Così nessuno pensa più alla birra e tutti ballano felici perchè cinque ragazzacci hanno preferito perdere tempo ad accordare le chitarre piuttosto che gironzolare per la provincia in cerca di guai. I Groovers salutano sciorinando una brillante My Hometown. Il giorno dopo un altro posto li aspetta dalle partei del Delta (del Po, of course): altra strada, altri show.  Chissà che con un po’ di fortuna, la musica dei groovers non trovi un palco più accogliente e la via per finire su un disco. Saremo i primi ad applaudirli,ma nel caso dovessereo perdersi per strada nessuno ne avrà male, tantomeno loro. sognare, del resto, è completamente gratis.

Out Of Time n. 22 giugno/luglio 1997 di Tino Montana Il rock italiano è in continua crescita, lo testimoniano le ultime uscite di molte band, da sempre sottovalutate al cospetto di gruppi coetanei d’oltreoceano. Dopo una gavetta durata un decennio “on the road” con due validi dischi alle spalle i Groovers tentano il grande balzo alla conquista di una vasta popolarità con “September rain”. Guidati dal cantante/chitarrista Michele Anelli e dal tastierista Paolo Montanar, i Groovers ostinati nel proseguire la strada degli esordi, ovvero quella di suonare un rock “stradaiolo” cantato in americano, arrivano al difficile esame di maturità e si ha la netta impressione che questo sia il miglior lavoro, quello in cui le canzoni hanno una varietà maggiore e il sound meno legato ai capiscuola americani. September Rain scopre subito le carte: i Groovers vanno a prendersi le canzoni dalla strada alla maniera dei Del Fuegos di “Boston Mass.”. L’inizio è affidato a something Burnin’, ma sin dai primi brani appare chiaro che pur continuando ad appellarsi al “blu-collar rock”, il alvoro di personalizzazione comincia a portare il suono fuori dagli schemi tra i quali rischiava di rimanere intrappolato. Di conseguenza le canzoni di Anelli e compari guadagnano in lucidità e spessore come in Many Loves (adattamento di una poesia di Allen Ginsberg), nelle ballads Homebound Road e Shoes of a Fool. In Not Enough To Kill gli stacchi della fisarmonica valorizzano un piccolo gioeiello.

Liberazione giovedì 21 dicembre 2000 di Gianni Lucini I Groovers firmano il nostro cd dell’anno!! Dedicato, nelle note di copertina, ai “morti sul lavoro e alle loro famiglie”. Il quarto album dei Groovers festeggia il decennale della band. Ambizioso e curato come i precedenti il disco, che si avvale dell’apporto di Evasio Muraro, l’ex-chitarrista dei Settore Out, ha ottenuto consensi importanti dalle riviste specializzate. Se regalasse per la seconda volta ai Groovers, dopo September rain nel 19957, il titolo di disco dell’anno noi l’avevamo detto.

Mucchio Selvaggio N. 400/2000 a cura di Federico Guglielmi GROOVERS That’s All Folks!! (Fandango rec.) 1989-1999 ten years of rock’n’roll, recita una scritta sul retro del booklet di questo ennesimo frutto dell’amore di Michele Anelli – autore, arrangiatore, cantante, chitarrista, armonicista e produtore: in una sola parola, anima dei Groovers, esperienza da lui sempre condivisa con il tastierista Paolo Montanari – per la migliore musica Americana che mantiene rapporti di affettuosa dipendenza nei confronti delle radici ma che da esse non vuole farsi stringere in una morsa troppo soffocante. In “That’s All Folks!!” quarto capitolo di una bella storia di autarchia produttiva avviata nel 1993 con “Songs for the dreamers” e proseguita con “Soul street” (1995) e “September rain” (1997), non c’è però tanto rock’n’roll, almeno nel senso convenzionale del termine : le undici tracce, tra le quail c’è anche una intense cover di “Factory” di Bruce Springsteen, alle soluzioni piò accese e trascinanti prediligono I toni morbidi e malinconici della balata elettroacustica, impreziosita da pennellate strumentali e canore sempre all’insegna del buon gusto. La tradizione ha ovviamente un peso fondamentale, ma l’utilizzo di trovate un po’ insolite nel genere – si prendano ad esempio pezzi come “I’m so sound” e “Holdin’ on” – dicono di una volontà innovative che andrebbe forse ancor più assecondata. Un bell’album, in ogni caso, “sentito” e ricco di passione, dtilisticamente collocabile – esempi nulla più che indicativi – a sinistra di Mark Lanegan e a destra dei Grandaddy,

Wolvernight luglio 2001 di Massimiliano STOTO L’urgenza di fissare un nuovo punto d’arrivo, ma anche la voglia di tornare a suonare come una vera rock ‘n’ roll band , sono le ragioni che a poco più di un anno dall’uscita di “That’s all folks !!” spingono Michele Anelli al ritorno in un studio di registrazione. Il progetto è un mini cd, e con lui c’è la band che ha dato vita al tour seguente al disco del 2000, perciò Paolo Montanari alle tastiere, Evasio Muraro al basso, Antonio Guida alla batteria. Si riparte da qui, in quattro , dalla formazione dei Groovers più risicata. “Do you remember the working class ?” è un distillato di storia della band, che riparte da quattro pezzi inediti e sorvola il passato con la rilettura di un pezzo per ciascuno dei quattro dischi del gruppo.  “That’s all folks !!” e i concerti che ne sono seguiti ricostituiscono una band che non era più tale (volutamente del resto) dalla fine del tour di “September rain”. Questo mini riparte da più parti, dal concetto del lavoro (il disco dell’anno scorso era dedicato a tutti coloro che hanno perso la vita sul lavoro) richiamato nel titolo e molto più marcatamente nei testi. Dalle soluzioni musicali inevitabilmente condizionate dall’esperienza di una nuova band e dalle sonorità di un disco stilisticamente innovativo come il precedente. Dalla rilettura, consentitemelo, a questo punto necessaria, di una storia lunga più di un decennio e infine dalla “voglia fisica” di tornare a fare un disco elettrico. Il risultato svela le gemme che questa nuova Primavera dei Groovers è pronta a regalarci. Canzoni fresche e rotonde con “Ballad” che raggiunge il pathos della canzone perfetta, che parlano rabbiosamente di lavoro, di promesse non mantenute, di miraggi futili. Che trasmettono però speranza attraverso frasi come “Da qualche parte in qualche modo tu sarai libero” il concetto del testo di “Ballad”, oppure “Io sono più di questo lavoro” in “More than this job” o ancora “Combatti contro la voglia di lasciare perdere tutto” tra le parole di “Darkness in El Dorado”. Le riletture dei vecchi brani sono il tiro spostato verso l’alto, una sfida pericolosa ma necessaria a ricollocare un passato che non va dimenticato, soprattutto oggi Perché non è un caso se “Sad town” che inizia con la frase “Mio padre è senza lavoro e parla dei vecchi tempi…..” è riletta per questo disco, come non lo è nemmeno “Where my daddy is ?” che si apre con “Mia madre lavora giù all’angolo……” oppure come “Something burnin’ che ha il testo più violento e senza speranza che Anelli abbia mai scritto nella sua carriera. E questa parola “LAVORO” che torna ossessivamente, che è tema centrale, ma anche ferita e vuoto (politico e culturale), diventa per Anelli il punto di collegamento fra la sua idea di rock, la sua cultura e le sue passioni. Questo punto è oggi uno snodo cruciale da dove passa la musica di una delle poche realtà italiane che sappia ancora dare un senso al connubio tra rock e impegno sociale.